Il gioco by Carlo D’Amicis

Il gioco by Carlo D’Amicis

autore:Carlo D’Amicis [D’Amicis, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788852086090
editore: MONDADORI
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Ai primi di agosto non resistetti più. Inforcai la bicicletta e raggiunsi il villaggio Solvay. Vi arrivai tutta sudata, l’afa rendeva l’aria irrespirabile ma era comunque aria di festa. I dipendenti della fabbrica aspettavano ferragosto allineando le sdraio nei cortiletti e annaffiando le aiuole con il tubo di gomma.

Ritrovai facilmente la palazzina a due piani. Quanti anni erano passati? Sei o sette, almeno. Ma ricordavo perfettamente la scena: Dante con i gomiti appoggiati al davanzale che spogliava con gli occhi mia madre e Macigno ad armeggiare inutilmente intorno alla serratura del piano terra.

A giudicare dai giocattoli sparsi nel cortile, nel suo appartamento ora ci abitava una famiglia con un bambino piccolo.

Appoggiai la bicicletta al cancello e mi sollevai sulla punta dei piedi per sbirciare oltre il muretto.

La tapparella di Dante era mezza aperta. O meglio semichiusa: prevaleva infatti la sensazione di un ripiegamento.

Mi sembrò di sentire una radio accesa.

Signor Dante?

Entrai nel cortile e salii al primo piano. La porta dell’appartamento era accostata. Più mezza aperta che semichiusa, stavolta: una visita, lasciava intendere quello spiraglio, non sarebbe stata sgradita.

Signor Dante?, chiesi ancora varcando la soglia.

Feci mezzo passo nella penombra del corridoio. Sì, la radio era accesa e trasmetteva un programma religioso: padre Rotondi commentava il Vangelo del giorno. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, sentii che diceva. Sulla parete, accanto al contatore, stavano appesi un crocefisso e il calendario dell’anno prima.

Signor Dante?

Avanzai piano piano nel corridoio. Sulla destra una cucina: più pulita di quanto m’aspettassi. Sulla sinistra la camera da letto. Un letto grande, matrimoniale, ma metà del materasso era occupata da copie incartapecorite del “Tirreno”. Al mio chaffeur piaceva leggere giornali vecchi.

Nella terza e ultima stanza la penombra s’infittiva. Dante vi era immerso con la stessa espressione che aveva alle otto di mattina, quando aprivo la porta di casa e lo trovavo là con il motore acceso.

Prego, signorina, accomodati.

Mi aspettava, signor Dante?

Ti aspetto ogni giorno, rispose lui.

Poteva essere una frase romantica, ma Dante la pronunciò con la neutralità di un militare addestrato all’obbedienza.

Mi sedetti di fronte alla sua poltrona e lo guardai meglio. Sì, l’espressione era sempre quella, ma stinta da un pallore che mi ricordò la carta ammuffita del “Tirreno”.

Perché conserva tutti quei giornali, signor Dante?

Per leggerli con calma l’anno dopo.

L’anno dopo?

Mi calma i nervi, spiegò. Sapere che tutte quelle cose sono già successe… che il mondo è andato avanti lo stesso…

È rassicurante, disse.

Gli chiesi cosa stesse facendo lì seduto, perché non facesse entrare un po’ di luce.

La luce… la luce… Sei tu la luce, mi lusingò.

Realizzai che non stava tanto bene. Malgrado il caldo, indossava un pigiama di flanella e si teneva un plaid sulle ginocchia. Dalla canottiera, tra i peli bianchi, gli usciva un tubicino che si andava a innestare in una specie di catetere.

Provò a farmi ugualmente un mezzo sorriso.

Le sanguinano le gengive, signor Dante.

Lui annuì e disse che lo sapeva.

È il tumore, disse. O la chemioterapia – a un certo punto non distingui più il male dalla cura.

Mi dispiace, signor Dante.

Anche a me, disse lui, ma poi fece un gesto come a dire che non era importante.



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